Maurizio Cossutti si racconta: “Quando arrivò la telefonata di Bavaria mi servì una sedia”
Un’intervista a tutto campo con il progettista del momento: con Alessandro Ganz ed il Cossutti Yacht Design ha firmato il nuovo Bavaria C57, è il designer italiano che ha stregato i tedeschi, una consacrazione che arriva dopo numerose stagioni di grandi successi sui campi di regata italiani ed internazionali
Giornale della Vela – marzo 2017. Posted on marzo 2, 2017 by in Barche&Cantieri, Regate&Sport
Com’è nata la collaborazione con Bavaria?
E’ stata una sorpresa, un po’ un fulmine a ciel sereno. Era il maggio del 2015, mi arriva una telefonata dell’Amministratore Delegato del cantiere che mi dice: “Se ti interessa vogliamo realizzare la nuova barca grande di Bavaria con il tuo studio”. C’è voluta una sedia dopo avere ricevuto la notizia. Sono andato a trovarli in cantiere e sono rimasto impressionato: siamo abituati a lavorare su realtà di dimensioni più piccole e vedere le barche muoversi sulla linea di produzione, con i camion ad aspettarle fuori, ci ha fatto capire che il lavoro sarebbe stato molto diverso. Siamo andati a cena e da uno schizzo è partito il progetto Bavaria C57.
E’ stata una sfida complessa?
Il metodo è diverso, lavorano a livello industriale e per loro la barca è un prodotto. Ci hanno detto che volevano migliorare determinati punti deboli, quindi con Alessandro Ganz siamo andati in Turchia a provare tutta la loro gamma per capire cosa potevamo portare con le nostre idee e da li è iniziato lo sviluppo. La richiesta del cantiere era di rinnovare la gamma e realizzare una barca che guardasse anche al piacere di andare a vela. Alcune soluzioni sono state facili da proporre, su altre inizialmente il cantiere era più diffidente ma ci hanno ascoltato. Al Salone di Duesseldorf eravamo un po’ nervosi perché era il primo test e aspettavamo di capire le reazioni: il feedback è stato positivo, a tal punto che Bavaria ha deciso di varare ufficialmente la serie C di cui verranno annunciati gli sviluppi futuri.
Facciamo un bel passo indietro. Quando è cominciato tutto? Finiti gli studi…
Finiti gli studi ho lavorato con il compianto Roberto Starkel, tutto è iniziato così. Era il 1986 a Trieste e questa collaborazione, durata quasi 4 anni, è stato il mio esordio. Poi un po’ per la crisi che si sentì in quel periodo, mi sono preso un periodo di pausa e sono andato a lavorare in Fincantieri. Ma per chi ha questa passione staccare con questo mondo è difficile: ho ricominciato col disegnare un timone, poi una pinna, e ci sono “ricascato”.
La prima barca che ha disegnato?
Eravamo a metà degli anni ’90 e con Alessio Bonin e Giulio Tarabocchia realizzammo il One Off Metro+Metro- nel 1998. Per i tempi era già una barca innovativa, aveva per esempio le lande in composito. Ci siamo veramente divertiti e con Bonin realizzammo poi il Bonin 36, che è il primo progetto di serie a cui ho lavorato.
Le altre barche che hanno segnato la sua storia di progettista?
La prima richiesta “da fuori” è arrivata dal Garda, per progettare una barca che fosse in antitesi con l’Ufo 22. Disegnai così il monotipo Zero, con albero alare e rotante, che vinse subito la 100 Miglia di classe proprio davanti all’Ufo 22. La seconda barca importante fu un 35 piedi per la Ostar del 2000 di Claudio Gardossi. Era come un grande Mini Transat, ma purtroppo per dei problemi ai piloti non finì la regata. Poi arrivò un’altra di quelle telefonate per le quale ci vuole subito una sedia: la Pfizer Italia, importante casa farmaceutica, voleva realizzare una barca per vincere la Barcolana. Nacque così il 65 piedi Cometa, il cui esordio fu però sfortunato.
Cosa accadde?
Era la Barcolana del 2000, che tutti ricorderanno per la Bora. In pre-partenza rafficava già a 50-55 nodi e Cometa ruppe il timone. Eravamo partiti per vincere la Barcolana, ma di fatto la regata per noi non iniziò mai. Niente però era perso e il 2001 fu l’anno del trionfo: vittoria alla Giraglia e vittoria con record alla Barcolana, la missione era compiuta.
Fu il trampolino di lancio definitivo?
Probabilmente si, dopo questa esperienza infatti iniziò la collaborazione con Alessandro Vismara e il cantiere Marine Technology, durata fino al 2005. A quel punto i tempi erano maturi e nacque l’idea 2Emme Marine. Inutile dire che la barca che ha segnato questo nuovo periodo è stato l’M37, il cui esordio fu subito con una vittoria in una regata con 35 nodi, una cosa che ricordo ancora con grande orgoglio. Quando si è chiusa l’avventura 2Emme è nata la collaborazione con Pino Stillitano sotto il marchio Nautilus Marina. L’NM 38 fu un successo incredibile, Scugnizza non ha bisogno di molte presentazioni, una barca che ha dominato in ORC per diverse stagioni a livello italiano ed internazionale.
Siamo arrivati quasi agli albori del nuovo periodo di crisi, ma nonostante tutto arriva una sorpresa..
Si, nonostante sul finire del primo decennio del 2000 il mercato era in calo, Franco Corazza ha avuto l’intuizioni di Italia Yachts, il cui primo modello fu l’Italia 10.98. E’ il 2010, nessuno avrebbe ci avrebbe scommesso, ma nonostante il periodo fu un successo e lo fu ancor di più il 13.98 che a Duesseldorf nel 2013 vinse l’European Yacht of the Year. Questa è stata una fase fondamentale per il nostro studio, grazie a queste barche ci siamo fatti conoscere a livello internazionale anche fuori dal mondo delle regate. Senza l’intuizione di Franco Corazza oggi per noi probabilmente non ci sarebbe stata la collaborazione con Bavaria. Lo studio è cresciuto, è entrato a farne parte Alessandro Ganz e stiamo per inaugurare la nuova sede in centro ad Udine.
Tra tutte le barche di cui ci ha parlato, quali sono quelle che le hanno dato le maggiori soddisfazioni?
Difficile dirlo, ogni barca è un pezzo di cuore. Forse per la storia che hanno avuto e il percorso per portarle in acqua dico la prima, Metro+Metro-, ma anche Cometa e naturalmente l’M37.
La barca di un altro progettista che avrebbe voluto disegnare?
Senza dubbio il Farr 31, è una barca che mi fa impazzire. Quando mi è capitato di vedere in banchina il Gunboat Rangiriri me lo sarei voluto portare a casa.
Il collega che stima di più?
Ci sono tanti bravi professionisti, ma a me sono sempre piaciute molto le barche di Umberto Felci. Adesso dovremmo considerarci avversari, dato che lui è con Dufour e io collaboro con Bavaria, come spesso lo siamo stati sui campi di regata, ma ho sempre ammirato il suo lavoro.
La sfida che vorrebbe affrontare in futuro?
Ne avrei più di una. Sul fronte delle barche da regata senza dubbio mi piacerebbe disegnare un’IMOCA foil, o anche un Tp 52. Per il mondo della crociera sarebbe bello cimentarsi su un 100 piedi ad alta tecnologia. Ma se proprio devo scegliere, l’IMOCA con i foil sarebbe il top.
Mauro Giuffrè
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